Montefiascone, 29 luglio 2015. Una sola parola per la mattina che ci ha svegliato oggi: fantastica. Per tutta Montefiascone si sente questo clima perfetto con il sole alto in cielo e un vento che, muovendosi attraverso le vie strette del centro storico, arriva fino alla Rocca dei Papi rinfrescando l’aria.
È l’ultimo giorno di lavoro per i giurati della sezione documentari che oggi deciderà a chi assegnare l’Arco d’Argento Premio Unicoop Tirreno. E dopo la solita colazione offerta da Est Film Festival, si comincia. Sullo schermo passano le storie toccanti di alcuni migranti siriani racchiusi dentro un’idea, tanto geniale quanto folle: arrivare in Svezia per chiedere asilo politico, evitando i posti di blocco. In fondo, chi fermerebbe mai un corteo di nozze? Questa è l’idea che sta dietro al documentario di Antonio Augugliaro, Gabriele Del Grande, Khaled Soliman Al Nassiry (presente in sala) Io sto con la sposa. Un progetto realizzato dal basso, come lo definiscono gli autori.
La prima domanda riguarda proprio i meccanismi di finanziamento del film: “Voi avete avuto più di 2000 finanziatori, un successo ancor prima della realizzazione. Come ha funzionato la produzione con il crowfunding?”.
“All’inizio – risponde Khaled – abbiamo girato il documentario con i nostri soldi, e non è che ne avessimo così tanti. Tornati dalla Svezia avevamo speso tutto e non potevamo chiedere i fondi per realizzare il film, avendo fatto una cosa non proprio legale. Abbiamo messo la nostra storia su un sito di crowfunding e abbiamo chiesto 75.000€. È stato un lavoro difficile per farci promozione, ma poi Io sto con la sposa ha fatto 100.000€ in un solo mese ed è diventato il primo film italiano ad aver raggiunto un tale successo, grazie all’aiuto di 2.700 persone italiane e di tutto il mondo. Dobbiamo molto a tutti loro. Per questo abbiamo inserito il nome di ognuno nei titoli di coda”.
La curiosità è tanta e arriva una domanda su come i tre autori abbiano deciso di fare questo viaggio: “Noi abbiamo sempre lavorato con gli emigrati attraverso dei progetti culturali. A Milano nel 2013 arrivarono molti migranti che dormivano nella stazione centrale. Ti fa molto male vedere delle persone trattate in questa maniera e non è giusto quello che succede: tutti hanno il diritto di scappare dalla guerra, dalla fame e dalla morte per cercare la vita. Volevamo fare un atto forte. Io sono palestinese-siriano, quindi sono sempre stato considerato un apolide a livello legale per il mondo, mentre Gabriele è un reporter che ha lavorato in Siria, in Egitto e in Libia. Avendo visto cosa succede in quelle terre, davamo una mano a questi rifugiati, gli prendevamo in casa nostra per farli riposare. Un giorno incontrammo questo ragazzo che aveva sbagliato treno e stava cercando di raggiungere la Svezia. Lo abbiamo invitato a casa e ci ha raccontato la sua storia, una storia molto forte che ci ha colpito subito. Pensammo a tanti modi per fargli raggiungere la Svezia, uno dei quali consisteva in un pullman e dei vestiti da suora. Dopo poco ci venne in mente questa idea folle: un matrimonio. Dopo quindi giorni eravamo partiti”.
Giordano Rampazzi chiede poi a Khaled: “Nel documentario, poco dopo la partenza, tu scopri di essere diventato cittadino italiano e ti commuovi. Prima tu non avevi una cittadinanza, giusto?”.
“Io ero un apolide perché a noi rifugiati palestinesi del ‘48 (siamo 5 milioni in tutto) non è mai stata riconosciuta una cittadinanza. Quando sono arrivato, in maniera legale, in Italia ho provato a fare dei documenti ma quando dissi di essere palestinesi mi risposero che l’Italia non riconosceva come stato la Palestina, che per loro non esisteva. Mia moglie è italiana e dopo che mi sono sposato ho potuto domandare di essere riconosciuto come cittadino italiano. È buffo che quando ho scoperto di avere per la prima volta un passaporto è stata anche la prima volta che stavo facendo qualcosa di illegale.”
E proprio su questo argomento Glauco Almonte domanda: “Due dei protagonisti sono stati respinti dalla Svezia. Avete avuto conseguenze legali per aver realizzato questo documentario?”.
“No, perché in Italia per essere perseguitati a livello legale serve qualcuno che faccia una denuncia. Tutti hanno parlato del film e questo ci ha aiutato. La mia unica paura era la Lega Nord ma, ragionandoci sopra, loro dovrebbero essere dalla nostra parte e pagarci: in fondo abbiamo preso 5 migranti e li abbiamo portati fuori dall’Italia”.
La sala scoppia in una risata e questo rompe il ghiaccio per le prime domande dal pubblico: “Come mai alcuni dei protagonisti non hanno ottenuto l’asilo politico in Svezia?”
“È tutto un discorso di leggi europee e del fatto che l’asilo politico va chiesto nel Paese di arrivo, dove sono obbligati ad accettare la richiesta. Purtroppo molto spesso non è così. Il resto dei Paesi europei riempie le strade di polizia e quando trovano un migrante lo fanno tornare in Italia. Questa cosa ha reso sempre più ricchi i contrabbandieri che con 1000€ ti fanno arrivare in Nord Europa. Ma queste persone non sono umane: solitamente fanno fare un giro lunghissimo ai migranti per poi lasciarli sulle Alpi facendogli credere di essere in Svezia.
Per quanto riguarda i due protagonisti respinti, ad uno di loro avevano preso le impronte digitali qui in Italia, quindi per gli svedesi voleva dire che quello era il Paese dal quale erano entrati in Europa e quindi era lì che dovevano tornare per legge”.
Il pubblico fa un’altra domanda: “Perché molti migranti vogliono raggiungere la Svezia?”.
“Quando arrivi in Svezia lo stato è molto preparato e loro sono molto bravi: per tre anni si occupano di te, ti danno da mangiare, ti mandano a scuola, ti insegnano a lavorare e a parlare la loro lingua. Quando finisce questo periodo, sei pronto ad essere inserito nella società pagando le tasse e ridando allo Stato i soldi spesi. È un’idea che funzionerebbe dappertutto, anche qui in Italia, ma non ho ancora capito perché non lo fanno”.
Un’ultima domanda viene da Giordano Rampazzi: “Mi ha sorpreso molto quando nel documentario il corteo supera il confine tra Italia e Francia attraversando semplicemente una rete arrugginita. Viene da chiedersi: cos’è una frontiera?”.
“Nel momento in cui abbiamo scelto di parlare di immigrazione avremmo anche potuto passare il confine con la macchina, ma abbiamo un amico storico che ci ha parlato di questo posto chiamato il Passaggio dei morto usato nel passato dagli italiani per fuggire dal fascismo. Lo abbiamo fatto per ricordare che nella storia anche gli italiani sono dovuti scappare da qualcosa usando ogni mezzo possibile. L’abbiamo usato come simbolo per ricordare che non è una causa nata adesso: da sempre le persone quando hanno fame o c’è una guerra scappano e non si può dire no innalzando un muro ed impedendo a queste persone di ricercare la dignità, la felicità e , soprattutto, la vita”. L’incontro si conclude con un enorme applauso di empatia che dura per diversi minuti.
Il sole del pomeriggio ha scaldato la maniglia della porta della Rocca che, pesantemente, si chiude alle 17:00: è il momento di Per tutta la vita, di Susanna Nicchiarelli, il film che chiude la sezione documentari di Est Film Festival 2015. Prima della proiezione, sul palco uno dei due vincitore dell’anno scorso: Vieri Brini regista, insieme a Manuele Policante (il grande assente), di Rifiutati dalla sorte e dagli uomini.
“Est Film Festival è stato per noi un trampolino di lancio – afferma Vieri – che ci ha permesso di fare oltre 50 proiezioni in tutta Italia e farci conoscere. Ultimante abbiamo anche chiuso un contratto per distribuire su alcuni canali televisivi il nostro documentario”.
Insieme a lui anche il presidente di giuria, Mariolina Scavera Malvagna: “La sezione di quest’anno è stata molto interessante con documentari di livello alto e molto vari nelle tematiche. Spero che Est Film Festival possa essere un trampolino di lancio anche per il prossimo vincitore”.
Ma, di cosa parla Per tutta la vita? Ce lo spiega la stessa Susanna: “Questo film nasce perché sono trascorsi 40 anni dal referendum sul divorzio e allora mi sono chiesta come fosse cambiata in tutto questo tempo l’Italia. All’inizio volevo realizzare un lungometraggio, ma poi mi sono resa conto che serviva un tipo differente di racconto. Mi sono ritrovata in situazioni più appassionanti, intervistando delle persone che ti raccontano di emozioni reali che fanno parte della loro vita. Questo film partiva come un documentario d’inchiesta e piano piano si è trasformato in un lavoro di riflessione filosofica sull’amore o sulla possibilità di credere ad un sentimento che duri tutta la vita perché mentre lo realizzavo mi sono sposata”.
Parlando con Nicoletta salta fuori il discorso delle nuove leggi sul tema, come il divorzio breve.
“Il fatto che comunque lo Stato non consideri il cittadino abbastanza maturo ma gli dica di prendersi un tempo per pensarci, come se avesse preso una decisione del genere senza averci riflettuto prima, è un po’ offensivo. Per spezzare una lancia a favore di questo sistema, lo Stato cerca di dare una regola a qualcosa di umano che necessita di un tempo di elaborazione. Però tutto ciò porta ad un costo ulteriore che prolunga la sofferenza emotiva di qualcuno”.
Dopodiché a Nicoletta viene chiesto come mai abbia tralasciato alcuni aspetti del movimento divorzista e perché il suo documentario sia intramezzato dall’intervista di un’etologa che parla di monogamia.
“Non ho mai voluto realizzare con questo lavoro un reportage televisivo che dicesse tutto sul divorzio. Ho voluto solo affrontare un percorso interiore. Anche perché credo che se uno cerca di inserire ogni cosa in un discorso, rendendolo scolastico ed esauriente, esca fuori un racconto privo di emozioni. Per quanto riguarda l’etologa, ho seguito una mia curiosità sul mondo animale: volevo capire perché lo scimpanzé che ci assomiglia non è monogamo mentre altri animali che sembrano più lontani da noi hanno dei rapporti affettivi simili ai nostri”.
L’incontro si chiude con una domanda di stampo filosofico/marzulliano: “Sono le battaglie che portano avanti l’Italia o è l’Italia a far nascere queste battaglie?”.
“Sicuramente ogni battaglia in sé fa crescere il Paese perché coinvolge le persone, anche se da noi sembra che si arrivi a riconoscere dei diritti quando ormai sono un dato di fatto”.
La giuria si sta già riunendo per decretare un vincitore mentre un corvo, planando sul prato, vola tra le rovine della Rocca per andare a posarsi sulla Torre del pellegrino, probabilmente per vedere uno dei mille straordinari tramonti sul lago ai quali Montefiascone ci ha abituato, ma che sempre ci emozionano.
Nel blu scuro della notte e le sue stelle, la luna è piena questa sera: il pallore candido che la colora si confonde silenziosamente con l’alone di luce che la circonda, rendendo i suoi crateri solitari un’entità quasi palpabile anche da piazzale Frigo. L’atmosfera giusta per la proiezione di questa sera: il film di fantascienza, diretto da Lorenzo Sportiello, Index Zero (primo film di Est Film Festival ad essere proiettato in inglese con i sottotitoli).
Dal palco, il Direttore Esecutivo Vaniel Maestosi rivolge un saluto al dott. Mario Brutti, presidente della Fondazione Carivit di Viterbo, partner di Est Film Festival.
Prima di cominciare il dibattito, il regista Lorenzo Sportiello ci tiene a fare un ringraziamento: “Ringrazio i tecnici di EFF per la proiezione ottima. L’audio si sentiva benissimo e in un film del genere è fondamentale”.
Come prima domanda viene chiesto a Lorenzo come mai abbia scelto di girare il film in inglese e se questo sia stato un tentativo per aprirsi verso il mercato estero.
“L’ho fatto per una questione di credibilità: volevo fare un corrispettivo di Lampedusa e ho pensato che in un futuro del genere l’interlingua tra un Paese e l’altro potesse essere l’inglese. Index Zero è stato girato in Bulgaria perché cercavo delle location che potessero trasmettere un certo senso di crudezza. Le stesse comparse sarebbero state difficili da trovare in Italia: volevo delle persone che avessero una certa durezza nello sguardo, con la faccia segnate dalla vita, balcaniche. Avendolo pensato fin da subito come film di fantascienza sapevo che avrebbe avuto un mercato più di nicchia, per il fatto che in Italia non c’è la tendenza a girare film del genere perché non c’è un pubblico così ampio. La scelta della lingua è stata fondamentale ma, in fin dei conti, è un film abbastanza silenzioso, quindi godibile anche da chi non mastica l’inglese”.
Un’altra domanda riguarda la parte finanziaria di questo progetto: “Che tipo di budget avete avuto?”.
“Basso, 500.000€. Per ovviare ad alcuni problemi di produzione mi sono ritrovato ad investire molto di mio in forza lavoro: ho fatto la regia, la sceneggiatura, gli effetti speciali e la colonna sonora, che si è rivelata essere una delle parti più divertenti visto che io volevo fare la rock star ma poi ho ripiegato sulla regia”.
Cogliendo l’occasione, Vaniel Maestosi aggiunge: “Vedere un regista creare la colonna sonora del proprio film è molto bello. Anche perché qui ad Est Film Festival abbiamo il Premio JazzUp per la miglior colonna sonora originale”.
Giordano Rampazzi interviene con una domanda sugli effetti speciali: “Il tuo film non può essere paragonato ai kolossal di fantascienza americani, ma il lavoro che avete fatto è straordinario e si vede. Come avete deciso di muovervi in questo senso?”.
“L’atmosfera sul set era molto casalinga, calcola che ho realizzato quasi tutti gli effetti nella mia stanza grazie al fatto che oggi la tecnologia ti permette di fare un ottimo lavoro anche a livello amatoriale. Volevamo che gli effetti speciali supportassero la narrazione e non che uscissero fuori dallo schermo per colpire lo spettatore. Per me questo film di fantascienza voleva avere un’impronta naturalistica: non ho inventato niente. Il film è una leggera distorsione della nostra realtà. Ci sono cose che stanno accadendo ora e che io ho solo ripreso. Anche perché i documentari si occupano di realtà mentre un film deve metaforizzarla”.
Mentre salutiamo Lorenzo, una campana lontana ci fa entrare in un nuovo giorno facendoci
concludere presto la serata. Domani avremo bisogno di tutte le nostre forze per quello che ci aspetta in questo giovedì: la giornata dedicata ai cortometraggi.
9° EST FILM FESTIVAL
25 Luglio – 1 Agosto 2015, Montefiascone (VT)
– INGRESSO GRATUITO FINO AD ESAURIMENTO POSTI –